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CRIPTOVALUTE, chi ha perso i suoi risparmi ha qualche concreta possibilità di rivedere risarcito il danno?

La risposta è articolata. In primis, a fronte anche dei diversi sospetti riguardo ad una manipolazione di mercato, gli esperti sottolineano che la legge sulla market abuse è comunque di difficile applicazione. «Affinché ciò avvenga -spiega l’avvocato Andrea Conso di Conso&Annunziata- da una parte sarebbe necessario che gli asset in questione possano essere considerati strumenti finanziari; e, dall’altra, che si trattasse di un mercato regolamentato». In entrambi i casi «la condizione non è soddisfatta».

Di conseguenza la strada dell’attuazione della market abuse «è poco proponibile».

Già, scarsamente proponibile. C’è chi però, a livello teorico, ha indicato che uscita dalla porta la legge in oggetto potrebbe rientrare dalla finestra. In che modo? Richiamando l’esistenza dei derivati sul bitcoin.

Il ragionamento è il seguente: il collasso di TerraUsd-Luna ha indotto degli effetti sulle quotazioni della criptoregina.

Esistendo, per l’appunto, su di questa degli strumenti finanziari (i derivati) scambiati in mercati regolamentati il richiamo alla market abuse non parrebbe così campato in aria. A ben vedere «la normativa sulla manipolazione di mercato -spiega l’avvocato Fabio Coco, socio di Zitiello Associati- è di difficile applicazione anche in questo caso. Dapprima perché è molto complesso riuscire a definire una causa efficiente tra» il collasso della stablecoin e l’eventuale anomalia sulla quotazione dei derivati del bitcoin. E, poi, perché «bisognerebbe dimostrare che qualcuno ha tratto beneficio dai movimenti sullo stesso derivato. Il che, se possibile, è ancora più complesso».

Il mondo degli exchange

A fronte di un simile contesto una strada più facilmente percorribile riguarda i soggetti attraverso cui l’investitore può avere concretizzato l’operatività. «Potrebbe in ipotesi, – riprende Coco- prospettarsi la responsabilità in capo, ad esempio, ad una piattaforma di scambi centralizzata. Questa sarebbe configurabile nel caso in cui l’exchange non sia stato solamente un mero strumento per adempiere l’operatività. Bensì, magari attraverso forme di marketing esasperato, abbia integrato la fattispecie della promozione di prodotti finanziari».

In questa ipotesi, come ancora indicato dalla sentenza della Cassazione Penale del 10 novembre del 2021, «troverebbero applicazione le norme previste dal Testo unico della finanza». «Al di là di ciò – fa da eco Conso – non è da escludersi, nel caso specifico, un altro appiglio normativo». Vale a dire? «Con riferimento sempre all’attività d’intermediazione, può pensarsi alle leggi in tutela del consumatore».

Nel caso, ad esempio, in cui «non sia stato esplicitato che si trattava di una stablecoin algoritmica e ci sia stata una qualche forma di promozione dell’operatività, l’investitore può richiamare eventuali violazioni della responsabilità contrattuale». Insomma, le opzioni per rivendicare i propri diritti esistono ma sono tortuose.

Anche perché, come in tutte le cose, bisogna vedere se il gioco vale la candela. «Non va dimenticato -conclude Conso – che alle volte non si sa dove queste piattaforme abbiano la loro domiciliazione». Certo: dal maggio scorso in Italia è prevista l’iscrizione, da parte di chi offre servizi in criptovalute, al registro dell’Oam (Organismo Agenti in attività finanziaria e Mediatori). Il che implica, tra le altre cose, l’obbligo per l’appunto di avere una sede nel Belpaese. «E tuttavia questa previsione esiste solo per i soggetti che intendono proporre un’offerta diretta al mercato domestico. Rimangono, al contrario, fuori dalla novità normativa gli operatori cui gli investitori accedono con la cosiddetta “reverse solicitation”».

Vale a dire: è il cliente che cerca l’exchange su cui effettuare la transazione pure sapendo che si tratta di una realtà estera e non iscritta all’Oam. «In questo caso il risparmiatore, spesso inconsapevolmente, abdica alla nuova tutela e si trova senza protezioni».

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