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Hai effettuato un’attività di lavoro in Danimarca e vuoi sapere se devi pagare imposte anche in Italia? In questo contributo scoprirai in quali casi, avendo effettuato un’attività di lavoro all’estero, sei tenuto a dichiarare i redditi percepiti nel tuo stato di residenza fiscale (Italia). Ti forniremo tutti gli strumenti per capire quando sei tenuto a pagare imposte anche in Italia, e quali strumenti potrai utilizzare per evitare la doppia imposizione di un reddito percepito all’estero.

I soggetti che decidono di trasferirsi all’estero per un periodo più o meno determinato di tempo effettuando un’attività lavorativa nello Stato estero ove sono espatriati, si trovano di fronte alla problematica legata alla tassazione del reddito estero percepito.

Si tratta di un problema che se non affrontato per tempo può portare ad incorrere in comportamenti in conflitto rispetto a quanto previsto dalla normativa fiscale nazionale e dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Per questo motivo, quando ci si accinge a trascorrere un periodo all’estero per lavoro, la cosa migliore è sempre quella di pianificare anche gli aspetti fiscali.

n questo contributo, considerati i numerosi quesiti che arrivano in merito alla tassazione in Italia di redditi esteri, ho deciso di utilizzarne uno particolarmente rappresentativo, come esempio concreto, per fornire una risposta completa a tutti i lettori che si trovano in questa fattispecie.

Questo il suo quesito arrivatoci via email:

“Lavoro in Danimarca da oltre 6 mesi attraverso un contratto di lavoro che l’azienda italiana per cui lavoro mi ha proposto. In pratica si tratta di un distacco della durata di 24 mesi presso una società controllata in Danimarca. Il mio contratto è rimasto quello italiano, integrato rispetto alla normativa vigente in loco. Mi effettuano ogni mese trattenute in busta paga. Fino ad ora non mi sono mai preoccupato dell’Aire e non mi sono iscritto. Quello che mi chiedo è se sono tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi e a pagare le tasse in Italia? Dovrei iscrivermi all’Aire? Come iscritto all’Aire dovrei presentare la dichiarazione dei redditi in Italia o sarei tenuto a pagare le tasse solo in Danimarca?”

Sono molti gli italiani, soprattutto studenti o lavoratori in distacco, ad avere un lavoro in Danimarca, magari temporaneo, per qualche mese o anno, e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte anche in Italia. Non è raro il caso in cui i lavoratori italiani domiciliati all’estero, ma ancora residenti in Italia, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di fornire una risposta chiara a questo argomento.

Lavoro in danimarca e imposte italiane: le regole

Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto è tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“, così come disciplinata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86. Secondo tale norma un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se è iscritto all’anagrafe della popolazione residente, o alternativamente se ha il proprio domicilio o la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia), per la maggior parte del periodo di imposta.

I tre requisiti sono alternativi, quindi è sufficiente possedere anche solo uno dei tre requisiti per potersi considerare soggetto fiscalmente residente in Italia.

Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, come nel caso portato ad esempio, dove il nostro lettore si trova all’estero da oltre 183 giorni senza mai essersi iscritto all’Aire, comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero.

Worldwide taxation

Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, previsto dall’articolo 3 del DPR n. 917/86.  Questo principio è uno dei fondamenti del nostro sistema fiscale, ma anche di molti dei sistemi fiscali dei Paesi avanzati. Il concetto è molto semplice: un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque prodotte), in un unico Stato, quello di residenza fiscale, salvo poi ottenere un credito per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove le stesse sono state percepite (come vedremo meglio di seguito).

Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia in concomitanza di almeno uno dei seguenti requisiti:

  • Essere residente in Italia, per almeno 183 giorni all’anno (la maggior parte dell’anno).
  • Essere iscritto nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (quindi, non essere iscritto all’Aire).
  • Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza , ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.

Residenza fiscale e tassazione

Come detto, i requisiti sopra indicati per verificare la residenza fiscale sono alternativi tra loro, è sufficiente realizzare anche soltanto una di quelle fattispecie per essere considerati fiscalmente residenti in Italia.

Tra queste fattispecie vi è una presunzione assoluta: un soggetto iscritto all’anagrafe di un comune italiano per almeno 183 giorni (anche non consecutivi), in un anno, è considerato fiscalmente residente in Italia, indipendentemente dalla prova della sua presenza nel territorio del nostro Paese.

Nel caso del nostro esempio, il lettore non essendosi mai cancellato dall’anagrafe della popolazione residente, per questa presunzione assoluta, è considerato comunque residente in Italia, anche se dovesse fornire prove certe e non confutabili della sua residenza estera. Questo aspetto è fondamentale e dovrebbe essere chiaro a quanti di voi stanno per andare a lavorare all’estero o progettano di andarci.

In a quanto previsto dagli articoli 2 e 3 del DPR n. 917/86, i soggetti residenti in Italia che producono redditi all’estero sono tenuti al pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non soltanto sui redditi prodotti in Italia, ma anche sui redditi prodotti all’estero, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto. Per questo motivo il nostro lettore è tenuto ogni anno a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.

Retribuzioni convenzionali

L’esempio che abbiamo preso presenta, stante quanto detto sinora, anche un altro aspetto particolare. Il lettore afferma nel suo messaggio che sta svolgendo un’attività di lavoro dipendente all’estero sotto forma di distacco, presso un’azienda estera del gruppo.

I soggetti che trascorrono all’estero periodi di tempo a seguito di un contratto legato al distacco del personale dipendente possono beneficiare di un’agevolazione fiscale, così come previsto dall’articolo 51, comma 8, del DPR n. 917/86, il quale prevede che:

il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale”

Si tratta di una prima agevolazione che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito, ma quello più favorevole previsto dalle retribuzioni convenzionali. Le retribuzioni convenzionali rappresentano una retribuzione figurativa imponibile Irpef al posto della retribuzione effettivamente percepita all’estero dal soggetto fiscalmente residente in Italia.

Tuttavia, per poter applicare concretamente questa normativa, è necessario che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali che vengono pubblicate ogni anno.

In questo caso preso ad esempio il nostro lettore essendosi trasferito in Paese UE, ha diritto all’applicazione delle retribuzioni convenzionali, e potrà tassare in Italia un reddito inferiore a quello effettivamente percepito in Danimarca, e certificato dal datore di lavoro estero.

Lavoro in danimarca: evitare la doppia imposizione

Come abbiamo visto, il lavoro in Danimarca, può comportare il pagamento delle imposte in Italia. Questo è quanto è dovuto, almeno secondo quanto indicato nel messaggio che abbiamo preso ad esempio. Il nostro lettore, infatti, si trova a dover pagare le imposte sia in Danimarca che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito, formando quella che viene definita come doppia imposizione giuridica.

Al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte nel paese di residenza del dichiarante oltre che nel paese di produzione del reddito (Stato della fonte), sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Danimarca (del 05/05/1999, ratificata dalla Legge n. 170/2002), sia il DPR n. 917/86, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte.

In particolare, l’articolo 15 della Convenzione tratta la disciplina dei redditi da lavoro dipendente e prevede che in via generale i redditi da lavoro dipendente debbano essere tassati nello Stato ove sono stati percepiti (Stato della fonte, Danimarca) ed anche nello Stato di residenza del soggetto percettore. Per evitare la doppia imposizione, il nostro ordinamento ha previsto l’applicazione di un credito di imposta, calcolato in base alle imposte pagate all’estero.

Credito per imposte pagate all’estero

Per potere applicare concretamente questo principio di divieto di doppia tassazione, ci viene in aiuto l’articolo 165 del DPR n. 917/86, il quale prevede che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.

A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica questo articolo prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia. Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate sull’attività di lavoro in Danimarca a titolo definitivo (non gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.

Ad esempio, se per un reddito pari a 1.000 euro la tassazione sul lavoro in Danimarca è pari al 20% ed in Italia pari al 23% il contribuente sarà tenuto a versare all’Amministrazione finanziaria della Danimarca il 20% del reddito e all’Erario italiano la sola differenza del 3%. In questo modo è correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione previsto dall’articolo 165 del DPR n. 917/86.

Il risultato finale che si ottiene dall’applicazione del credito per imposte pagate all’estero è sostanzialmente quello di far si che le imposte pagate dal soggetto nel Paese di residenza siano esclusivamente quelle ulteriori rispetto a quanto già versato nel Paese di produzione del reddito.

Irpef, come funziona l’imposizione in Danimarca

La tassazione in Danimarca è la base per sostenere lo stato sociale e assicurare a tutti i cittadini pari accesso ai servizi finanziati con l’imposizione fiscale. Il settore pubblico eroga servizi per:
‒ la sanità affinché tutti siano curati quando sono ammalati;
‒ il lavoro per supportare chi è disoccupato;
‒ la scuola per garantire pari opportunità d’istruzione;
‒ l’informazione e la crescita professionale (biblioteche e media);
‒ l’ordine pubblico e la difesa del territorio.
Tutti i danesi usufruiscono del settore pubblico e tutti debbono contribuire a finanziarlo.

Le entrate fiscali sono impiegate per sussidi sociali, pensioni statali, assegni familiari e per scuole, ospedali, biblioteche e
polizia. Il sistema fiscale danese è progressivo e questo vuol dire che più è alto il reddito e più alte sono le tasse.

In Danimarca non si deve pagare per andare a scuola, in ospedale, dal dottore, ecc. A tal fine la Danimarca ha un ministro delle Finanze e delle proprie leggi fiscali.
Il sistema fiscale è gestito da un’agenzia (Skattestyrelsen) che riceve telematicamente la gran parte delle informazioni necessarie a calcolare le imposte dovute dai cittadini contribuenti.

Le informazioni sono fornite all’Agenzia obbligatoriamente da:
‒ i datori di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti;
‒ le banche su eventuali interessi attivi e passivi;
‒ i fondi di disoccupazione e i sindacati sui pagamenti dell’iscrizione, ecc.

Il cittadino riceve ogni anno un resoconto fiscale, in pratica la sua dichiarazione, con tutti i dati forniti dagli enti terzi e già conosciuti dall’Agenzia che, nella stragrande maggioranza, approva così come gli è stato trasmesso o, in alternativa, fornisce di ritorno le poche informazioni errate, mancanti o da aggiornare.

Le imposte pagate dalle persone fisiche si dividono in dirette ed indirette.
Le imposte dirette sono (il cui funzionamento è sintetizzato sul sito dell’agenzia fiscale danese https://www.skat.dk/ con una semplicissima tabella):
‒ quella che va allo stato (imposta statale) sul reddito con aliquote uguali su tutto il territorio in base all’importo; all’imponibile nel 2021 si applicano due aliquote, la “Bottom-bracket tax”, pari al 12,11% fino a 544.800 DKK (73.266 €) di reddito e quella del 15%, “Top-bracket tax”, ai redditi imponibili d’importo superiore;
‒ quella che va ai comuni in cui si risiede in percentuale fissa del reddito ma con aliquota variabile da comune a comune; la media nel 2020 è stata pari 24,97%;
‒ un contributo al mercato del lavoro pari nel 2021 all’8% del reddito da parte di tutti i lavoratori dipendenti per finanziare le spese dello stato in questo settore, dalla disoccupazione alla malattia, al congedo di maternità/paternità; il contributo non contribuisce all’imponibile ed è quindi dedotto dal reddito prima del calcolo dell’imposta;
‒ quelle derivanti dal possesso di azioni (dividendi e capital gains) al cui imponibile si applicano nel 2021 due aliquote, quella del 27% fino a 56.500 DKK (7.605 €) e del 42% per importi superiori;
‒ quella per finanziare la Chiesa Luterana; questa tassa è facoltativa e l’aliquota è variabile da comune a comune;
‒ quella sul valore della proprietà che va ai comuni ed è gestita da una Agenzia nazionale, Danish Property Assessment, e riguarda la proprietà di tutti gli immobili; i valori catastali che fanno da base imponibile sono aggiornati ogni due anni alternativamente un anno gli immobili residenziali un anno quelli destinati ad attività economiche; le aliquote nel 2021 sono 0,92% fino a 3.040.000 DKK (408.829 €); 3,00% al disopra di tale importo; ci sono delle agevolazioni per i proprietari singoli,
coppie e pensionati; c’è infine anche una imposta fondiaria che va sempre ai comuni.

Contribuiscono all’imposta personale diverse tipologie di reddito:
‒ gli stipendi o i salari dei lavoratori dipendenti, compresi i benefit tipo le auto aziendali, i cellulari, ecc.;

‒ le pensioni;
‒ redditi derivanti da attività di lavoro autonomo calcolato come per le società prendendo a base la differenza fra ricavi e costi;
‒ gli interessi sui depositi bancari o quelli derivanti da partecipazione all’impresa.
Sono imposte indirette: l’Iva con un’aliquota nel 2021 del 25% senza aliquote ridotte; le accise; le imposte doganali e una “green tax” che grava su benzina, petroli, inquinamento ecc.
Nell’imposta personale esistono le seguenti deduzioni (importi relativi al 2021):
‒ tutti i contribuenti hanno diritto ad un importo esente che per chi ha più di 18 anni è pari a 46.700 DKK (6.280 €) e per chi ha un’età uguale o inferiore ai 18 anni e di 36.900 DKK (4.962 €); le coppie possono trasferire dall’uno all’altro coniuge la quota di esenzione non utilizzata;
‒ chi è soggetto al contributo per il mercato del lavoro (lavoro dipendente) o chi partecipa ai guadagni dell’attività (lavoro autonomo) spettano due deduzioni: la prima, definita “employment”, relativa all’impiego pari al 10,60% del reddito imponibile fino ad un massimo di 40.600 DKK (5.460€); la seconda, definita “job”, quando il reddito imponibile è superiore a 200.300 DKK (26.937 €) la deduzione è pari al 4,50% con un massimo di 2.600 DKK (350 €);
‒ I genitori singoli hanno diritto ad una agevolazione aggiuntiva pari al 6,25% fino a 23.400 DKK (3.147 €);
‒ due diverse per il mantenimento della casa; la prima riguarda il costo del lavoro dei domestici impiegati come collaboratori familiari fino ad un massimo di 12.800 DKK (1.721 €) e la seconda il costo dei servizi fino ad un massimo di 6.400 DKK (861 €);
‒ le indennità di licenziamento sono esentasse fino ad 8.000 DKK (1.076 €);
‒ per il lavoro dipendente esistono poi delle deduzioni specifiche per il reddito dei benefit (auto, cellulare, computer, ecc.) per chi viaggia (spese di alloggio e per i pasti) e per le altre spese legate alla produzione del reddito da lavoro dipendente, per queste ultime l’importo da richiedere deve essere superiore a 6.500 DKK (814 €).;
‒ spese per il mantenimento dei figli con limiti a seconda del loro numero;
‒ i contributi pensionistici fino a 53.800 DKK (7.235 €).
In Danimarca c’è un tetto fiscale pari al 52,06% del reddito che non deve essere superato dalla somma delle imposte personali più quelle locali. Il contributo al mercato del lavoro e le tasse ecclesiastiche sono esclusi.

Il confronto
In Danimarca la progressività si basa su una fascia esente (un’area non tassata) fino a 6.280 € per chi ha più
di 18 anni e su due aliquote 12,11% fino a 73.266 € e 15% per imponibili superiori che divengono, considerando le aliquote locali, mediamente 37,08 % e 39,97%.
Rispetto al nostro sistema i maggiori pregi di quello danese sono la trasparenza fra ciò che un cittadino versa e come lo stato impiega la sua contribuzione e la semplicità normativa ed organizzativa che riduce l’adempimento del contribuente a poco più che una approvazione di quanto a lui trasmesso dall’Agenzia delle entrate.
Se mettiamo a confronto con la nostra realtà la gestione fiscale danese ci rendiamo immediatamente conto della complessità a cui è giunto il nostro sistema che impegna ogni anno per la dichiarazione dei redditi dei contribuenti più comuni, lavoratori dipendenti e pensionati, decine di migliaia di persone fra professionisti ed addetti all’assistenza nonché sottrae tempo e risorse ai contribuenti stessi. Un costo del sistema che in Danimarca è sconosciuto.

Come evidenziato nelle tabelle 2-4, probabilmente a livello d’imponibile la nostra progressività, pur avendo una gobba fra 30.000 € e 50.000 €, è migliore e più omogenea.

A parte questa considerazione le due curve sono abbastanza simili e penalizzano i redditi medi favorendo quelli alti.
Al contrario della nostra curva nel sistema danese le poche agevolazioni ne influenzano poco l’andamento.

Comunque, in prima approssimazione, si può affermare che il livello di tassazione in Danimarca è piuttosto elevato e la progressività incide soprattutto sui redditi medio bassi e, quindi, il sistema è poco esportabile nella nostra situazione anche se bisogna tener conto che l’elevata tassazione sui redditi da lavoro è accompagnata da una tassazione, altrettanto elevata, sui redditi da capitale e sulle proprietà immobiliari.
Le qualità del sistema danese che sarebbero da prendere in considerazione per riformare il nostro sistema sono: la chiarezza degli obiettivi della tassazione, la semplicità dei meccanismi di applicazione dell’imposta e la combinazione delle diverse imposte che gravano sia sui redditi che sul patrimonio.

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