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Come dimostro la residenza estera per l’agevolazione regime impatriati senza una iscrizione all’AIRE?

Il soggetto che non si è mai cancellato dall’Anagrafe della popolazione residente può applicare il regime dei Lavoratori Impatriati (o Rientro dei Cervelli). L’agevolazione si applica anche senza iscrizione AIRE nei due anni di presenza estera. Questo a condizione che il soggetto dimostri la sua permanenza nel Paese straniero in Convenzione con l’Italia. La prova della residenza estera è a carico dell’impatriato.

L’agevolazione cd dei “Lavoratori Impatriati” e quella del “Rientro dei Cervelli” sono in molti casi legate tra loro. Questo in quanto i requisiti richiesti riguardano allo stesso modo queste agevolazioni. E’ il caso, ad esempio, della prova di residenza fiscale estera. Per entrambe le agevolazioni è richiesto che il soggetto possa dimostrare un certo periodo di permanenza all’estero tale da poter considerare estera la sua residenza fiscale.

Per i Lavoratori Impatriati e per docenti e ricercatori universitari questo periodo è di 2 anni (24 mesi). Tale periodo, fino alla conversione in legge del DL n 34/19 doveva essere certificato dall’iscrizione AIRE del soggetto espatriato. A partire dal 2020, invece, è possibile documentare la permanenza estera anche senza l’AIRE. Sul punto è necessario sottolineare che è stata introdotta una deroga anche per i rimpatrii precedenti al 2020.

In ogni caso, tuttavia, il soggetto espatriato è chiamato a documentare e fornire prova della residenza estera in un Pese in convenzione con l’Italia.

Andiamo ad analizzare, di seguito, come tutto questo si renda necessario in relazione all’Interpello n 207/2019 dell’Agenzia delle Entrate.

Come anticipato, l’iscrizione AIRE è sempre stata un requisito indispensabile per l’ottenimento delle agevolazioni legate al rientro in Italia. Con il D.L. n. 34/19 le cose sono cambiate.

A partire dal 2020 i soggetti espatriati, in possesso degli altri requisiti richiesti, possono godere delle agevolazioni per il rientro in Italia senza iscrizione AIRE.

La norma, che ha novellato il D.Lgs. n. 147/15, permette poi una deroga anche per i rientri in Italia avvenuti prima del 2020.

A corollario di questa possibilità deve essere segnalata la risposta dell’Agenzia delle Entrate fornita all’Interpello n. 207/2019.

Cerchiamo, quindi, di capire meglio come la prassi dell’Agenzia delle Entrate entra nel merito della prova della residenza estera da parte del soggetto espatriato.

Prova della residenza estera per gli espatriati non iscritti aire

Volendo sintetizzare la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate possiamo riassumere quanto segue:

  • Anche senza cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente (ANPR), è ammesso ai benefici IRPEF ed IRAP il soggetto (ricercatore) che torna in Italia (nel caso come ricercatore universitario);
  • La mancata iscrizione AIRE non è di per se sufficiente ad escluderlo dall’agevolazione Rientro dei Cervelli;
  • Rimane a carico del soggetto impatriato la prova della residenza estera.

Le stesse considerazioni possono rendersi valide anche per l’agevolazione dei lavoratori impatriati. Vediamo in dettaglio il quesito e la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate.

Quesito dell’interpello

Sostanzialmente si tratta di un ricercatore italiano che rientra in Italia dopo cinque anni e mezzo trascorsi interamente all’estero. Il ricercatore non si è mai iscritto all’AIRE, nonostante abbia passato gli ultimi anni della sua vita fuori il Paese. Questo soggetto ha ravvisato di non iscriversi all’AIRE sia per motivi professionali che personali. Questo soggetto si chiede, quindi, se possa beneficiare del regime di vantaggio previsto dall’articolo 44 del D.L. n. 78/2010. Per quanto ritiene il ricercatore, i responsabili del Ufficio trattamento economico dell’Università lo avevano escluso dal regime fiscale di favore in quanto non si era mai cancellato dall’anagrafe della popolazione residente in Italia.

Risposta delle entrate sulla prova della residenza estera

In questo caso, come detto, si fa riferimento all’articolo 44 del D.L. n. 78/2010 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 122/10). Norma che incentiva attraverso una agevolazione ai fini IRPEF ed IRAP ricercatori e docenti residenti all’estero ad esercitare l’attività in Italia. In particolare, l’articolo 44 dispone che:

“è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo, il 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all’estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato”

Articolo 44 Legge n 78/2010

L’agevolazione spetta a decorrere dal periodo d’imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente in Italia e nei tre periodi d’imposta successivi. Le condizioni per accedere alle agevolazioni, chiarite anche da vari documenti di prassi (Risoluzione n. 146/E/2017Circolare n 17/E/ 2017 e Circolare n 4/E/2011), sono:

  • Il possesso di un titolo di studio universitario o ad esso equiparato;
  • Residenza non occasionale all’estero;
  • Lo svolgimento di documentata attività di ricerca o docenza all’estero per almeno due anni continuativi;
  • Acquisizione della residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui si fruisce dell’agevolazione.

Al riguardo la Circolare n 17/E/2017 chiarisce che:

“…la norma prevede espressamente che il docente o il ricercatore acquisisca la residenza fiscale nel territorio dello Stato e che ciò avvenga in conseguenza dello svolgimento della attività lavorativa in Italia.”

Circolare n 17/E/2017

La nozione di residenza fiscale

Con riferimento alla nozione di “residenza fiscale”, l’Agenzia ricorda le disposizioni contenute nell’articolo 2, comma 2, del TUIR. Secondo questa norma sono considerati fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni o 184 giorni in caso di anno bisestile):

  • Sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o
  • Hanno nel territorio dello Stato la residenza o il domicilio ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.

L’Agenzia, nel formulare il parere, ricorda che l’articolo 5, comma 4, lettera b) del DL n 34/19, ha introdotto, al citato articolo 44, il comma 3-quater, nel quale si legge:

I docenti o ricercatori italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo. Questo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), del DLgs 147/15.

Con riferimento ai periodi d’imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono decorsi i termini di cui all’articolo 43 del DPR 600/73, ai docenti e ricercatori italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali di cui al presente articolo nel testo vigente al 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), del DLgs 147/15”.

Prova della residenza estera

La normativa attuale prevede che i soggetti che risultano non iscritti AIRE possono comprovare il periodo di residenza all’estero sulla base delle previsioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

L’Agenzia è dell’avviso che anche i docenti e i ricercatori rientrati fiscalmente in Italia entro il 31 dicembre 2019 hanno la possibilità di usufruire del regime agevolativo se dimostrano la residenza fiscale all’estero per i due periodi d’imposta precedenti sulla base delle regole dettate dalle singole Convenzioni internazionali.

Di conseguenza, nel caso in esame, conclude l’Agenzia, l’istante, nonostante non sia stato iscritto all’Aire durante gli anni trascorsi all’estero, può beneficiare dell’agevolazione fiscale a decorrere dal 2019.

Nel corso di quest’anno, infatti, il ricercatore afferma di essere rientrato fiscalmente in Italia. Rimane a suo carico la prova di dimostrare la residenza estera per i due anni di imposta precedenti. Così come previsto dalla Convezione contro le doppie imposizione siglata tra l’Italia e il Paese estero in cui ha lavorato.

La risposta dell’Agenzia tiene conto delle disposizioni ad oggi in vigore che il contribuente avrà cura di verificare alla luce della conversione in legge del decreto crescita citato.


Prova della residenza estera per impatriati e ricercatori

L’aspetto importante che riguarda i lavoratori impatriati e ricercatori e docenti che rientrano in Italia, senza iscrizione AIRE è la prova della residenza estera.

Sostanzialmente, l’Agenzia delle Entrate ammette l’applicazione dell’agevolazione legata al rientro in Italia a patto di provare la propria residenza estera. Condizione necessaria è quella di impatriare in Italia da Paese con cui è in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni.

In questo caso, la mancata iscrizione AIRE nel periodo di espatrio può essere superata mostrando la documentazione (prova) della propria residenza estera ai fini convenzionali.

Si tratta di una prova documentale che consiste in documenti nominativi che possono dimostrare la propria presenza fuori dall’Italia in modo stabile e continuativo.

Contemporaneamente si deve anche documentare il centro dei propri interessi familiari ed economici si trova fuori dall’Italia.

Tutto questo può essere dimostrato solo attraverso la costruzione di un fascicolo documentale in grado di passare i controlli dell’Agenzia.

Residenza fiscale estera, come dimostrarla se non sono iscritto all’AIRE?

In ottica di accertamento della residenza fiscale estera si deve fare riferimento al certificato di residenza estero. Vi è, infatti, la possibilità per i cittadini italiani di integrare il requisito di non residenza invocando le richiamate disposizioni di matrice convenzionale. Questo avviene producendo un certificato di residenza fiscale nel Paese estero, ex articolo 4 del Modello OCSE.

Il certificato può essere utilizzato come strumento utile al superamento del requisito formale dato dall’iscrizione AIRE. Questa “deroga” alla disciplina AIRE risulta applicabile ai soli fini del “Regime dei Lavoratori Impatriati”. Tale disposizioni risultano particolarmente interessanti per tutti i cittadini Italiani stabilmente residenti all’estero ma non iscritti all’AIRE.

n particolare, è possibile produrre un certificato di residenza fiscale estera, ex art. 4 del M-OCSE, in luogo del requisito formale di iscrizione AIRE.

Certificazione residenza fiscale estera

Si tratta delle certificazioni di residenza fiscale estera, rilasciate dall’Amministrazione finanziaria del Paese estero su richiesta del contribuente interessato.

In buona sostanza, si tratta di quei certificati rilasciati anche in virtù della presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni tra l’Italia ed il Paese estero di residenza del soggetto istante.

La certificazione di residenza fiscale è sicuramente un documento importante ai fini della dimostrazione della non residenza in Italia. Questo, soprattutto nel caso di un contribuente italiano che non abbia provveduto a cancellarsi dall’Anagrafe della popolazione residente (APR).

In questo caso in virtù della mancata iscrizione AIRE questo soggetto ha comunque la possibilità di produrre un certificato rilasciato dall’Autorità fiscale del Paese estero.

Si tratta di un documento dove viene specificato che il soggetto è ivi residente. Da considerare, sul punto, anche che trattandosi, il certificato de qua, di un atto pubblico, l’Amministrazione finanziaria non potrà che proporre querela di falso, ai sensi degli artt. 221 ss. c.p.c., al fine di privare tale atto della sua intrinseca idoneità di far fede. Ne consegue che indipendentemente dal fatto che il soggetto sia ancora iscritto nell’anagrafe della popolazione residente, integrando, pertanto, il requisito formale (presunzione assoluta di residenza, si ricorda) della residenza fiscale, di cui all’art. 2, comma 2, del TUIR, l’Ufficio, a fronte della produzione del certificato in argomento, sarà onerato, a pena di nullità della querela, ad indicare gli elementi e le prove della falsità. Trattandosi di un atto emesso da un’Autorità fiscale di uno Stato appare improbabile, se non impossibile, che il Giudice civile possa emettere una sentenza che accerti la falsità di un atto di tal fatta.

Per questo motivo è da ritenere che la certificazione di residenza fiscale rilasciata da un’Autorità fiscale di uno Stato estero, ancorché attestante una situazione di fatto che però potrebbe venire in essere anche in un altro Stato, con ciò generandosi un conflitto tra le legislazioni fiscali dei due Paesi, possa essere richiesta al fine poi di dirimere il detto conflitto, applicando, laddove esistente, una Convenzione contro le doppie imposizioni.

Anche in questo caso, quindi, come del resto evidenziato anche per le società, la presenza della certificazione di residenza fiscale rappresenta un elemento, utile, ma da solo non dirimente al fine di poter provare la propria residenza fiscale estera. Nel caso, infatti, è indispensabile avere a corollario di tale documento elementi fattuali e documentali in grado di provare che il proprio centro degli interessi vitali si trova all’estero. Altrimenti, rimarrà sicuramente applicabile la presunzione assoluta di residenza in Italia in mancanza di iscrizione AIRE.

In altri termini possiamo affermare che, il certificato di residenza estero, se prodotto, va ad esaurire l’onere probatorio in capo al contribuente. In questo caso rimane a completo carico dell’Amministrazione finanziaria italiana la scelta se farne fede, oppure se avviare un contraddittorio non con il contribuente o direttamente con l’amministrazione estera certificante. Insomma, una volta prodotta la documentazione è l’Amministrazione finanziaria chiama ad operare ulteriori verifiche.

Solo in questo caso, ossia solo qualora il fisco italiano produca elementi concreti a criticità di quanto riportato nel certificato estero, il contribuente deve esser chiamato a sua volta a produrre elementi di prova idonei a conferma della certificazione.

CERTIFICAZIONE RESIDENZA FISCALE UK, a chi richiederla?

Her Majesty’s Revenue and Customs (in inglese letteralmente “Entrate e Dogane di Sua Maestà”, solitamente abbreviato come HM Revenue and Customs o HMRC) è un dipartimento governativo non ministeriale del Regno Unito responsabile per la riscossione delle imposte, il pagamento di alcune forme di sussidi statali e l’amministrazione di altri regimi regolatori incluso il salario minimo nazionale.

Se hai bisogno di un Consulente Fiscale in grado di analizzare la tua situazione ed aiutarti a capire se e come puoi applicare l’agevolazione Impatriati o Rientro dei Cervelli, scrivici per una consulenza WEB ( tramite videochiamata con Google Meet) all’indirizzo di posta elettronica office@fiscoconsulting.it

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