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TASSE, ecco la strategia sul cash out oneroso su Cryptovalute

In questo articolo  non vedremo come risparmiare tasse in maniera illegale perché anche se è la via più breve e meno impegnativa, il non dichiarare non ha senso e comporta pesante sanzioni in caso di accertamento.

Nel 2016 si stima che nel mondo i possessori di criptovalute fossero circa 5 milioni. Nel 2020 i numeri sono aumentati esponenzialmente: sono circa 100 milioni gli utenti che posseggono o utilizzano criptovalute.

E si tratta di numeri che provengono soltanto dalle maggiori piattaforme di scambio al mondo, senza tener conto della DeFi che sta spopolando negli ultimi mesi.

Di conseguenza, complice l’ascesa di Bitcoin, la più celebre delle criptovalute, gli stati di tutto il mondo ad oggi cercano soluzioni legislative e fiscali che possano regolamentare il fenomeno, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo finanziario delle criptovalute, cioè la loro compravendita al fine di rivenderle a un prezzo più alto e ottenere una plusvalenza.

In Italia non esiste ancora una specifica regolamentazione finanziaria e fiscale delle criptovalute, ma ciò non significa che non ci siano regole. Anzi, alla luce delle risposte agli interpelli dell’Agenzia delle Entrate e di alcune sentenze in materia, è oggi chiaro che le criptovalute debbano rientrare nella dichiarazione dei redditi.

Quindi, sebbene tecnicamente le risposte agli interpelli e le sentenze non siano vincolanti nei confronti della generalità dei contribuenti, le stesse costituiscono pur sempre “raccomandazioni” con un forte valore orientativo.

A partire dal 2016, il case study dell’Agenzia delle Entrate è stato Bitcoin, che meglio di altri si presta a una assimilazione a una valuta estera, sebbene siano state sollevate plurime obiezioni in merito (le criptovalute non hanno corso legale, i wallet non sono conti correnti, eccetera).

Senza entrare nei dettagli tecnologici, è sufficiente evidenziare che esistono cryptoasset di natura assai differente tra loro, dovendosi innanzitutto distinguere tra quelli infungibili (NFT) e quelli fungibili (la maggior parte delle criptovalute scambiabili sui mercati).

Tra i token fungibili, poi, alcuni (come Bitcoin, Ether o Monero, tecnicamente “coin”) possono effettivamente fungere da “valuta” e quindi da mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi. Altri sono equiparabili a veri e propri strumenti finanziari, come le azioni o le obbligazioni, mentre altri ancora (si pensi ai fan token della Juventus o ai token CRO di Crypto.com) attribuiscono meri diritti di utilizzazione di un servizio.

Come è evidente, non tutte le criptovalute possono (anche soltanto in teoria) essere assimilate a valute estere. Tuttavia, ad oggi è ancora diffusa tale convinzione, con il risultato che, almeno per quanto riguarda le criptovalute fungibili (a esclusione, quindi, degli NFT sulla cui tassazione l’Agenzia delle Entrate non si è ancora espressa), il contribuente italiano sarà tenuto a inserirle nella propria dichiarazione dei redditi e, in alcuni casi, a pagarne le relative imposte.

A eccezione dei miner, dei trader professionisti e delle società che detengono criptovalute, per i quali vige un regime di tassazione diverso, il contribuente persona fisica residente in Italia, ogni anno, dovrà:

a) dichiarare, sempre e comunque, nel quadro RW il controvalore in euro di tutte le criptovalute detenute al 1° gennaio e al 31 dicembre (SOLO MONITORAGGIO FISCALE), utilizzando i relativi tassi di cambio. Tale dichiarazione non comporta il pagamento di tributi, ma la mancata dichiarazione può comportare il pagamento di sanzioni;

b) per le sole cessioni a pronti (cioè in cui lo scambio è immediato), verificare se, sommando il saldo di tutti i wallet di criptovalute e di tutti i conti correnti in valuta fiat (dollari, yen, eccetera), il controvalore in euro è superiore al limite di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi consecutivi nell’anno solare, secondo i tassi di cambio del primo gennaio.

In via prudenziale, opportunamente alcuni commercialisti comprendono nel calcolo di tale soglia anche i giorni festivi, poiché il mercato delle criptovalute non chiude mai;

c) nel caso in cui la soglia di cui al punto b) sia stata superata anche solo una volta durante l’anno (e a prescindere dal superamento della soglia nelle cessioni a termine, in cui lo scambio è differito nel tempo), effettuare il calcolo delle plusvalenze e minusvalenze realizzate dalla cessione di criptovalute, secondo il metodo di calcolo LIFO.

In caso di plusvalenza, il contribuente dovrà pagare il 26% di tale plusvalenza; in caso di minusvalenza, il contribuente potrà dedurla nell’esercizio in corso e nei quattro anni successivi.

Attenzione, per cessione tassabile si intende anche il pagamento di beni o servizi (acquisto carburante con Bitcoin) e lo scambio di criptovaluta con altra criptovaluta (Bitcoin/Ether), non soltanto la conversione di criptovaluta in euro.

Per la compilazione del quadro RW, anche solo in caso di monitoraggio fiscale, i professionisti di Fisco Consulting offrono una consulenza su appuntamento. Scrivici per fissare un appuntamento a office@fiscoconsulting.it

ALCUNE STRATEGIE LEGALI PER EVITARE LA TASSAZIONE

Immaginiamo che te debba pagare € 1.000,00 di tasse.

Per prima cosa andiamo a dire che l’imposta sui guadagni (plusvalenze), sarà al 26%. In sostanza se hai guadagnato netti € 1.000,00 paghi € 260,00 di tasse.

Adesso vado a farti un breve esempio di come si calcola una plusvalenza. Ho acquistato una quantità di bitcoin pari al valore di € 59.000,00. Quella stessa quantità aumenta di valore ed io la vendo a € 60.000,00. E sposto i soldi sul mio conto corrente.

La plusvalenza è € 1.000,00. Che è data dalla vendita € 60.000,00 – (meno) l’acquisto iniziale € 59.000,00.

Nell’esempio di calcolo plusvalenza sopra esposto. Ci sono 2 condizioni che avvengono tienile a mente:

  1. Vendo i miei bitcoin.
  2. Sposto i soldi incassati sul mio conto corrente.

Adesso l’informazione che ti sto per dare è la risposta alla domanda: Quando si realizza l’evento che mi obbliga a pagare le tasse su bitcoin?

La legge ci dice questo. Le tasse su bitcoin si pagano esclusivamente se questi 2 eventi si realizzano nello stesso anno fiscale (dal 1 di gennaio al 31 dicembre):

  1. La cifra di € 51.645,69 per 7 giorni lavorativi continui. E’ superata.
  2. Effettui cessione a titolo oneroso.

Quando dovrò pagare l’imposta?

Ma facendo degli esempi ti sarà più chiaro.

Primo esempio. Durante l’anno fiscale (dal 1 di gennaio al 31 dicembre). I miei investimenti in bitcoin arrivano a € 100.000,00 per 14 giorni lavorativi continui. In questo caso non pago le tasse perché non ho fatto cessione a titolo oneroso.

N.2  esempio. Durante l’anno fiscale (dal 1 di gennaio al 31 dicembre). I miei investimenti in bitcoin arrivano a € 100.000,00 per 14 giorni lavorativi continui. Al wallet ho collegato la mia carta crypto con la quale ho fatto shopping.

In questo caso pago le tasse perché ho fatto cessione a titolo oneroso. In sostanza ho venduto parte dei miei bitcoin per fare shopping.

Numero 3 esempio. Durante l’anno fiscale (dal 1 di gennaio al 31 dicembre). I miei investimenti in bitcoin arrivano a € 100.000,00 per 14 giorni lavorativi continui. Ho venduto parte dei miei bitcoin. E ho spostato l’incasso sul mio conto corrente.

In questo caso pago le tasse perché ho fatto cessione a titolo oneroso. In sostanza ho venduto parte dei miei bitcoin e sono tornato disponibile della liquidità sul mio conto corrente.

Vado a sintetizzare in cosa consiste questa strategia. Facendo prima una premessa. Quello che abbiamo chiarito fino adesso e che la legge sulla tassazione ci dice:

  1. Se superi la cifra di € 51.645,69 per 7 giorni lavorativi continui.
  2. Ed effettui cessione a titolo oneroso.

Paghi le tasse al 26% sulla plusvalenza.

Mi raccomando i N.2 eventi si devono realizzare nello stesso anno fiscale (dal 1 di gennaio al 31 dicembre). Per far sussistere il pagamento delle tasse. Altrimenti niente tasse.

Adesso vado a spiegarti la strategia è molto semplice. Prima che arrivi a toccare la fatidica soglia dei € 51.645,69 per 7 giorni lavorativi continui vendi. Ovviamente da come puoi vedere te lo molto sintetizzata. Ma come tutte le strategie va costruita. Per ottenere dei vantaggi fiscali reali.

La soluzione che ti sto proponendo in questo articolo può essere utilizzata da tutti. Ma il mio consiglio è di affiancare anche le altre. Per ottenere un vantaggio fiscale ragionato.

Partiamo dal presupposto la strategia consiste nel non arrivare mai a € 51.645,69 per 7 giorni lavorativi continui. Vendendo l’eccedenza, prima che ciò accada. Adesso di elenco quello che non devi fare:

  1. Aspettare di arrivare molto vicini alla soglia di € 51.645,69.
  2. Stessa cosa per 7 giorni lavorativi.

I N.2 motivi sopra elencati sono perché:

  • Se vendi e i soldi rimangono a disposizione nell’exchange. O non fai in tempo il trasferimento verso il tuo conto corrente. Rischi che la tua vendita. Fatta per pagare meno tasse è stata fatta per niente.

Ecco il perchè del mio consiglio di non ridurti a farlo al giorno. Io lo farei già al 4. Così hai il tempo di trasferire i fondi. E soprattutto di poter stare dentro a situazioni non calcolate. Ad esempio festività non italiane. Che fanno rallentare l’esecuzione di un servizio.

  • Un altro mio consiglio. Partendo dal presupposto. Fare cash out è legale. Ma immaginiamo di avere un accertamento fiscale. Dal quale viene fuori che ogni volta che il tuo investimento arriva a € 50.000,00. Per giorni continui c’è una vendita. Potrebbe accadere che l’ente cercherà di trovare qualcos’altro fuori posto.

La soluzione che ti consiglio è flessibilità. Una volta vendi al 4 giorno alla cifra di € 46.000,00. Un’altra volta al 3 giorno alla cifra di € 47.000,00. E così via. In sostanza non fare situazioni tutte uguali fra loro.

Ovviamente i consigli che ti do è perché fare il braccio di ferro con l’Agenzia delle entrate. Richiede:

  • un investimento economico di un avvocato tributarista (le loro parcelle sono salate).
  • Investimento del tuo tempo.

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